STORIE
DI VITA

MAHAMET

MAHAMET

MAHAMET

Mahamet è arrivato in accoglienza da un anno e 8 mesi, proviene dal Senegal e ha 28 anni. Costretto a fuggire dai disordini e dalla brutta situazione della regione di Casamance, tristemente nota a livello internazionale.
Ha lasciato il suo paese nel 2010 per recarsi in Gambia, dove è rimasto fino al 2016. Nello stesso anno, per la precarietà della situazione del paese, ha continuato il suo viaggio arrivando, dalla Libia, sulle coste siciliane. Mahamet non ama prendere parte ai corsi di gruppo di italiano, ha suoi metodi e proprie capacità. Infatti, oggi, parla un buon italiano.
Il mese scorso  si è presentato in Tribunale come prevede l’iter burocratico, per ottenere i suoi documenti che lo autorizzino a rimanere in Italia. In tale circostanza la prassi vuole che i soggetti siano accompagnati da un mediatore culturale.

Mahamet viene dal Senegal, ed è stato costretto a fuggire dalla regione di Casamance, dove tutt’ora infuriano sanguinosi conflitti.

Mahamet ha chiesto al giudice di parlare da solo in Italiano per far comprendere bene le ragioni della sua migrazione. Al giudice ha spiegato, con uno splendido linguaggio politico, le ragioni che hanno creato in tanti anni problemi civili nella regione di Casamance. Non usare qualcuno accreditato per la traduzione, vuol dire non nascondersi dietro i “non ho capito”, “il mediatore ha frainteso”, “l’avvocato non ha compreso”, ma usare questo momento come grande atto di verità.
Mahamet ha imparato l’italiano anche perché  si è sempre reso disponibile per eseguire le piccole manutenzioni nelle case, stando  così a contatto con i vari professionisti italiani che venivano all’occorrenza contattati. Mahamet si è rivelato, tra le altre cose, un bravissimo falegname abile nell’eseguire le diverse manutenzione e ad eseguire lavori di montaggio-smontaggio di mobili.

Ha chiesto al giudice di parlare in italiano senza mediazione, per raccontare in prima persona la sua storia.

ALI E HAWRA

ALI E HAWRA

ALI E HAWRA

Ali ed Hawra, provengono da Baghdad, Iraq. Si sono sposati 4 anni fa, lei aveva 18 anni e lui 37.  Conservano nel loro telefono le bellissime foto di quel giorno. Dopo soli 5 giorni dal matrimonio, Ali per il suo lavoro e per le sue idee politiche è costretto a lasciare l’Iraq e si rifugia in Turchia dove, dopo un anno, lo raggiunge Hawra.  Rimangono in Turchia dove nasce la loro bambina, che morirà dopo un solo giorno di vita. Proseguono il viaggio in Olanda dove chiedono, senza ottenerla, protezione internazionale.
Raggiungono infine l’Italia e ad ottobre 2016 sono accolti dal progetto della Diocesi. Dopo un anno, Ali riceve dalla Commissione territoriale della Prefettura di Perugia il riconoscimento dello Status di rifugiato. Ora Hawra è in attesa del riconoscimento, così da poter riprogrammare la loro vita, in Italia o in altri paesi europei.

Dopo 5 giorni dal loro matrimonio Ali è costretto a fuggire, Hawra lo raggiungerà solo un anno dopo.

ABDELADI E FAUZIA

ABDELADI E FAUZIA

ABDELADI E FAUZIA

Abdeladi e Fauzia, cittadini del Marocco. Quando sono arrivati, agli operatori la loro è sembrata un’accoglienza particolare. “Dal Marocco? Perché rischiare la vita con un viaggio pericoloso fino a Lampedusa?”
La verità è che vivevano in Libia, lei da 10 anni, lui da 20. Si sono sposati da due anni, da adulti. Vista la situazione, la loro richiesta di protezione appariva incerta.
In realtà la coppia non aveva nessun legame in Marocco, così come in Libia, da dove sono stati cacciati. Entrambi in precarie condizioni di salute, hanno ottenuto i documenti per motivi umanitari. Sono persone da imitare per gentilezza e per come si prendono cura dell’abitazione che è stata loro assegnata.

“Perchè rischiare la vita con un viaggio così pericoloso fino a Lampedusa?”

IQBAL

IQBAL

IQBAL

Iqbal non è il suo nome, ma il cognome. Nel suo paese, il Pakistan, non è semplice la distinzione tra cognome e nome. Iqbal si era fatto registrare con nome e cognome postposti,  ma dopo un anno trascorso a chiamarlo Iqbal, non è stato facile per gli operatori chiamarlo in altra maniera.
Il giovane non è emigrato da poco tempo, era in Grecia dal 2008, dove lavorava, ma non aveva i documenti, se non per pochi mesi e difficilmente rinnovabili. Nel 2015 si è unito a tanti connazionali in marcia verso l’Europa. Ha raggiunto l’Italia a piedi attraverso la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria, l’Austria.
In Italia qualcuno gli ha comunicato che sarebbero stati aiutati se avessero raggiunto la città di Caltanisetta. Da Bolzano, Udine ed altre città, sono partiti per la città siciliana e da qui sono stati trasferiti a Perugia.

“Chi fugge dalla violenza mira a costruire ponti e non muri divisori”

Quando insieme ai suoi compagni di sventura è giunto a Prugneto era sfinito e con gambe e piedi distrutti e pieni di ferite.
Nel dare il via al progetto, la diocesi ha proprio ospitato i cosiddetti “camminatori d’Europa”.  Iqbal ha sempre donato la sua disponibilità, pronto in ogni momento ad aiutare il gruppo e attento alle esigenze di tutti gli ospiti del progetto: si adopera per facilitare le comunicazioni tra gli ospiti e le differenti situazioni delle varie case. È consapevole di condividere un difficile percorso che non può contemplare pregiudizi razziali o antipatie nazionali, tanto da aver instaurato un rapporto di amicizia con i ragazzi del Bangladesh, paese da sempre ostile alla sua terra d’origine. Chi fugge dalla violenza mira a costruire ponti e non muri divisori.


Arcidiocesi di Perugia

Città della Pieve

Piazza IV Novembre, 6
06123 Perugia

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www.diocesi.perugia.it